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TURCHESE

La pietra che hai scelto è il turchese. Il termine deriva dal francese antico “pierre turquois”, ossia “pietra turca”, nonostante la sua origine fosse persiana. Questo nome non fu però l’unico,  in Persia era denominato “ferozah”, che significa “vittorioso” o colui che vince. I più noti giacimenti di questa pietra si trovano in Iran.  Il termine “pierre” deriva dall’ebraico di Pietro che ha il significato di pietra, dal termine aramaico Kephas a sua volta poi latinizzato in Petrus. La parola “turco” deriva da Türk, significa "forza". Plinio cita la turchese nella sua Naturalis Historia chiamandola "callaina" termine che deriva da καλλαλιτηος che significa “bella pietra”. Plinio aveva notato la porosità di questa pietra, la quale si altera irreversibilmente a contatto con profumi, unguenti, saponi o sostanze acide. Sempre Plinio asseriva che "la callaina” viene attaccata dagli oli, dai balsami e dal vizio": infatti la turchese è tra le pietre più delicate, un cui uso scorretto potrebbe farne alterare il colore. Il suo giacimento nella penisola del Sinai è noto fin dall'antichità, e la pietra stessa era ampiamente utilizzata nella fabbricazione di gioielli nell'antico Egitto e in Mesopotamia.  La pietra turchese viene anche citata nei versi ebraici come minerale nel quarto nido della corazza del Sacerdote Aronne.  Vale la pena notare che nel commento rabbinico alla Torah si nota il fatto che l'ombra del minerale dovrebbe essere lo stesso del colore dello stendardo della tribù di “Giuda” è inciso sulla quarta pietra del pettorale, e si crede che il suo colore sia azzurro cielo. Il reperto più antico della turchese è un bracciale risalente a circa 8000 anni fa scoperto in Egitto, seguito da un monile con turchesi trovato insieme ad una mummia risalente a 7500 anni fa. Gran parte delle civiltà antiche teneva in grande considerazione questa pietra.  Particolarmente utilizzato in Egitto era il turchese verde, comunemente associato alla Dea della gioia Hathor, chiamata appunto “Regina del turchese”. Per gli Egizi il turchese aveva il compito di accompagnare il defunto nell’aldilà, simbolo dello spirito del mare incarnato. Su questa pietra era usanza scolpire uno scarabeo in onore di Ra, Dio del sole, dando vita ad un amuleto che si credeva capace di donare gioia di vivere e spensieratezza. Gli Antichi Egizi, ritenendola simbolo dell’Aldilà e dell’Universo, la utilizzavano per la realizzazione di scarabei porta fortuna e decorazioni di vario tipo, era simbolo della resurrezione ed era associato al cuore. Gli egizi credevano infatti che lo scarabeo della specie “stercorario” potesse rigenerarsi dalla palla di sterco che l’insetto fa rotolare davanti a sé. Inoltre, la palla veniva collegata con il disco solare che “rinasce” dopo la notte: il nome egizio dell’insetto, kheperer, è simile a quello del dio Khepri, il Sole, che sorge generato dalla Terra. Il significato del termine è quello di custode, sorvegliante. Gli antichi avevano osservato le abitudini di questo strano ma particolare insetto, il quale trasporta una pallina di sterco che reperisce girovagando, per poi portarlo nella sua tana dove vi deporrà le uova, dal quale ne verrà fuori un altro esemplare. Gli egizi, avevano preso questa abitudine per descrivere il collegamento che esiste anche nella vita umana, nella quale il cadavere viene seppellito nella terra e porta già il nuovo "uovo-spirito" che rinascerà in un altra vita nell'aldilà. Secondo gli Indiani d’America, rappresentava l’incarnazione degli spiriti del cielo e del mare. Credevano anche che assicurasse successo in guerra e durante le battute di caccia. I Navajo pensavano che potesse favorire le piogge, mentre gli Apache pensavano che ci fosse una gemma di turchese alla fine dell’arcobaleno. In Tibet, simboleggia l’amore; per questo la pietra viene donata al proprio amato. Il suo colore ricorda il collegamento tra acqua e cielo ed è per questo che questa pietra viene associata ai simboli doppi di acqua e fuoco, come Capricorno, Sagittario, Scorpione, e  Pesci. E’ la pietra dell'auto-riflessione, in modo da imparare a riconoscere che nessun altro oltre a te è responsabile della tua felicità. In natura il turchese è tipico di sorgenti molto ricche di calcare, dove si determina la precipitazione del carbonato di calcio. Per motivi di solubilità il carbonato di calcio va prima in sovrasaturazione e poi, con lo scorrimento del fiume e il rimescolamento delle acque, si degasa dell’anidride carbonica, da sovrasaturato diventa saturo e inizia la precipitazione microcristallina, che dà il colore turchese. Questa pietra essendo associata alla capacità di comunicazione (Ascolto e Parola) è vicina alle persone che curano le relazioni interne ed esterne all’interno di un’istituzione o di un’azienda. L’acqua rappresenta l’ascolto, la parola il cielo. La comunicazione ha bisogno di due aspetti perché possa aver circolare liberamente. Quella di saper ascoltare (Orecchio) e quella di saper esprimersi (Bocca). Questa pietra con i suoi colori incarna questi due aspetti della nostra personalità. Da una parte l’aspetto introspettivo dell’acqua e delle sue profondità, dall’altro l’aspetto tangibile e materiale del sapersi esprimere e usare parole con sapienza.  La sua energia lavora sulla razionalizzazione, che libera da un senso interiore che frena il movimento come un senso di colpa,  la vergogna e il  rimpianto. Il turchese aiuta ad avere un effetto positivo sul sistema polmonare e il sistema respiratorio, che rappresenta appunto la capacità di saper comunicare. La presenza del rame e dell’acqua rendono la Turchese affine all’energia rappresentata dal Pianeta Venere e del metallo Rame, che rappresenta un buon conduttore. Nell'alchimia per via del suo aspetto lucente, del suo uso nella produzione di specchi e per la sua principale zona estrattiva, l'isola di Cipro, ove si narra nacque la Dea, “emersa dal mare”, è associato alla divinità di Afrodite. Siamo in presenza di una pietra di cui la parola chiave è amore, inteso come equilibrio, armonia, serenità nelle relazioni sociali e nella coppia. Il turchese  è infatti connesso alle nostre facoltà espressive, della sincerità, la comunicazione, l’ascolto, la diplomazia e l’espressione creativa. Sul piano psicologico ed emotivo,  se abbiamo difficoltà nell’ascolto del prossimo e nella capacità di comunicare le nostre emozioni, tenderemo a fuggire dalle interazioni sociali, a chiuderci in noi stessi e lasciarsi divorare dalla timidezza, dall’introversione e sentiamo il peso perenne del senso di inadeguatezza. Non riusciamo a riporre fiducia in noi stessi, nelle nostre idee e nelle nostre capacità, e spesso ci opponiamo al cambiamento.  Se siamo bloccati, tendiamo a trattenere questa energia e diventare  insofferenti. Non solo, avvertiamo un senso di pesantezza e i nostri liquidi (Emozioni non espresse) vengono trattenute. La persona che sceglie questa pietra ricalca un temperamento flemmatico, che tende ad ingrassare facilmente, a gonfiarsi, descritto anche come beato, lento, pigro, sereno e talentuoso. La sua introspezione però lo porta  a caricarsi troppo delle emozioni negative andando in eccesso di liquidi. Segni zodiacali tipicamente  soggetti a questi influssi sono il Sagittario, Leone, Capricorno, il Cancro, lo Scorpione e i Pesci. Questa pietra è associata alla luna e alle stelle, (Fuoco e Acqua) così come viene rappresentata la bandiera della turchia. Il significato simbolico di questa pietra è lo stare attenti a prendere scelte sbagliate, a non trattenere troppo la rabbia e non essere troppo legati alle cose materiali, al nostro orgoglio e al nostro territorio.   Nella mitologia greca, il turchese era associato al Sagittario segno di fuoco, uno dei mostri leggendari della Tracia metà uomini e metà cavalli, nell'atto di scagliare una freccia contro lo Scorpione. Nella mitologia quindi troviamo l’idea di conoscere il nostro veleno, le nostre profonde debolezze. Il centauro è una figura in metamorfosi, in divenire. Gli uomini cercavano proprio di identificarsi con il cavallo stesso, da sempre considerato come uno degli animali più liberi e forti ed eleganti, il ché lo portò a diventare simbolo di nobiltà ed intelligenza, tanto che presso le famiglie aristocratiche greche e romane era uso comune attribuire nomi contenenti la parola “hippo”, cavallo in greco: Filippo ed Ippocrate ne sono due esempi. La leggenda narra che il primo ibrido ebbe origine dall'unione di un figlio di Apollo (Sole), Centauro appunto, con delle bellissime cavalle. Dalla loro unione nacque una creatura a metà, con il corpo di cavallo sul cui tronco erano innestati un torso ed un capo umano. La loro particolarità è che possedevano tutti i pregi e tutti i difetti del genere umano, portati però a livelli elevatissimi, tanto che nella mitologia sono stati riservati loro ruoli completamente contrastanti: dall'estrema saggezza all'incredibile crudeltà. E tale idea perdurò nel tempo. Durante il Medioevo, i centauri vennero così descritti: «I centauri assomigliano ad uomini dal cuore falso e doppio; hanno le apparenze della devozione,... ma la sostanza di avversari e di eretici. Con i loro amabili discorsi seducono il cuore degli innocenti». Secondo il Physiologus, l'immagine del centauro si addiceva alle persone che rimanevano lontane,  ed alla loro interna dissociazione. Scagliando frecce da lontano e non entrando mai veramente in battaglia, esprimevano quel senso del distacco nell’affrontare ed indagare le proprie angosce interiori. Ma il vero specchio del pensiero medioevale in merito è rappresentato da Dante, che nella Divina Commedia colloca i centauri nell'inferno (Inf. XII) come custodi-giustizieri dei violenti contro il prossimo, in rapporto diretto con il loro carattere violento avuto in vita.

«... e tra ‘l piè de la ripa ed essa, in traccia corrien centauri, armati di saette, come solien nel mondo andare a caccia...»

Dante li descrive come esseri veloci e possenti che vanno in cerca di dannati indisciplinati, sempre pronti a punire e tirare le loro infallibili saette e che riassumono tutto il senso implicito della crudeltà e dell'orrore dei dannati, se si tiene conto non solo della loro funzione di feroci giustizieri, esecutori della giustizia divina ma soprattutto di quello che essi raffigurano nel mito antico della morte vendicata, della feroce violenza anche dell'intelligenza a servizio della crudeltà. Era la personalizzazione della vendetta, ma lanciata da lontano. L’idea stessa dell’invidia, l’incapacità di vedere se stessi. La più antica descrizione scritta di questa costellazione appare nei testi di Eratostene, dove il segno compare non come centauro ma come satiro, antico ibrido antecedente l'arrivo dei cavalli nell'area mediterranea. Con ogni probabilità il primo satiro di cui ci sia giunta la leggenda fu l'indimenticabile Enkidu dell'epopea di Gilgamesh. In effetti è probabile che il primo e originale Sagittario fosse Enkidu, trasformato in costellazione insieme all'amico (Gilgamesh-Orione) a causa del duello vittorioso con il Toro Celeste inviato da Ishtar. La pietra turchese serve a riequilibrare questa energia possente e giustiziera,  a calmare le passioni terrene, per voltarsi verso territori più spirituali, allontanandosi da una mente troppo razionale e calcolatrice. Questa pietra è associata al primo Chakra, e il quinto cuore pulsante che troviamo nella zona della laringe (gola). E' associato alla parola ESPRESSIONE. Vishuddha deriva dal sanscrito e significa purificare! Vishuddha è collegato all'autoespressione e alla creatività, governa le funzioni respiratorie e la voce, che quando non è allineato o è bloccato, causa insicurezza, apatia, perdita di autostima o, al contrario, porta all'essere iperattivi, alle volte invidiosi ed attaccati a tutto ciò che è materiale e razionale e a una resistenza al cambiamento, in generale ad una rigidità mentale. Un mondo troppo legato al giusto e lo sbagliato, perdendo completamente il senso artistico, gioviale, spensierato. Quando invece è in armonia ed allineato ci rende sicuri, felici e ben disposti, aperti al diverso, rispettosi nel rapporto con gli altri, con il nostro corpo e con tutto l’universo e le sue innumerevoli diversità.

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