INFERNO | PrismaNero
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BENVENUTI NELL'INFERNO

La parola inferno deriva dal latino infĕrnus o infĕrnum tradotto nei dizionari con “che sta sotto”. La parola Inferno è formata da “in” che indica una immersione nello spazio o nel tempo con il significato “dentro”, “Fer” dal verbo latino “fĕro”  che significa trasportare e “nus” con significato di “Se”. Una cosa che risulta interessante che il temine “Fernus” deriva dal greco antico “τραυμα”, che significa “ferita”. Stessa radice comune germanica di Traum per indicare il “sogno”. Per analogia la parola inferno significherebbe “dentro la ferita del Se” oppure “Dentro un Sogno”,  “Dentro un Trauma di Se” o "Portare una ferita dentro il cuore".  Il termine Nou deriva dal greco antico “νόος”  lo si riscontra per la prima volta in Omero, dove indica l'organo sede della rappresentazione delle idee chiare, quindi la "comprensione", capacità posseduta dagli dèi.  Secondo lo stesso autore, il pensare, il nous, si identifica con il parlare, la cui sede è in organi corporei che vanno dal petto alla bocca: «Esso ha sede nel petto, identificato con il cuore.» Il “nous”  possiede anche il significato di "intelligenza" o "intelletto" ma a differenza di queste non è evidentemente materiale e quindi non può essere ferito dalle armi. Per alcuni filosofi il Nous rappresenta “l’ordine di tutte le cose” o “L’ordine Divino”.

I vizi capitali e la loro storia

Come raggruppamento e classificazione, i vizi capitali nascono come opposizione alle sette virtù celesti. Il concetto di peccato è di matrice giudaico-cristiana. Gli antichi Greci e Romani non conoscevano il sentimento e il termine di peccato. Consideravano però la negatività dei comportamenti empi, da cui nascevano dei vizi, che il filosofo Aristotele descrisse come “abiti del male”.

In base alla concezione aristotelica, i primi cristiani diedero forma alla lista che oggi conosciamo. Si dice appunto che il monaco egiziano Evagrio Pontico identificò sette o otto pensieri o spiriti malvagi da vincere. Dall’Egitto, la lista arrivò in Europa dove divenne centrale per la dottrina cristiana.

Asmodeo e la Lussuria

L'etimologia del nome Asmodeo è controversa ma pare che derivi dal persiano ashma daeva, forse spirito del giudizio, oppure da Aeshma-daeva, spirito del furore o dall'aramaico antico As'medi che significa "spirito che distrugge". Asmodeo appare per la prima volta nel libro di Tobia. Lo spirito “Asmodeo” si innamora perdutamente di Sara, figlia di Raguele. Il nome Sara deriva dall'ebraico שָׂרָה (Sarah), che significa "signora" o "principessa", il cui nome venne cambiato da Dio, in origine chiamata שָׂרָי Saray o Sarai, che significa "litigiosa", dal greco amphisbetikós che significa 'separatamente, fatta di due parti'. Stessa radice di “Bisbetico” che rappresenta un carattere con un’inclinazione al litigio, al brontolare, al ribadire continuamente. La storia raccontata nella Bibbia, parla di come Sara aveva già sposato sette uomini, ma tutti erano morti prima di raggiungere una vera unione. Perdutamente sconsolata per la perdita, Sara si promette in sposa a Tobia. Allo spirito di  “Asmodeo” è associato  l’arcangelo Raffaele che riesce a liberarsi di lui, utilizzando uno stratagemma. Raffaele è un nome ebraico, Rĕphā'el, dal significato etimologico "Dio guarì". Nei testi Biblici si racconta come Raffaele suggerisce a Tobia di prendere un pesce, di strappare via cuore, reni e fegato e di gettarli nella brace. Asmodeo che non può sopportare i vapori che vengono sprigionati dal fumo,  fugge in Egitto, dove finalmente viene incatenato. Asmodeo è il simbolo del disaccordo tra i coniugi. Nel Testamento di Salomone il demone appare con sembianze a cavallo tra un angelo e un uomo con l’obiettivo di seminare discordia e compromettere l’armonia tra le coppie, distruggere la bellezza. Il termine luxuria deriva dal latino luxus che significa “rigoglio”, “eccesso”, “sfrenatezza”, con probabilità incapacità di discernere, distinguere tra sé e l’altro, mancanza di misura. Una delle prove che Psiche dovette superare per ritrovare Amore, era quella di prelevare e portare ad Afrodite, un po’ di lana, appartenente ad alcune pecore dal vello d’oro, un manto di lana pregiatissima dotato di un sacro potere. Psiche, inizialmente, si lanciò verso le pecore, ma fu fermata da una canna che cresceva lì. Questa le rivelò che quelle pecorelle erano in realtà belve feroci e che avrebbero dilaniato il suo corpo. Le consigliò di attendere che facesse buio e di scuotere i cespugli per poi prendere tutta la lana che vi era rimasta impigliata. Psiche ascoltò i consigli della canna e così superò anche quella prova. Afrodite insegnò a Psiche l’essere pazienti e il “pensare”. La più alta e qualificante attività umana che deriva dal termine latino “pensum” che indicava la quantità di lana pesata e attribuita alle filatrici.

ALCHIMIA: VENERE - RAME - VERDE

L’Avarizia e Mammona

Il termine Mammona deriverebbe dalla lingua aramaica, di etimologia incerta solitamente, tradotto come il "tesoro sotterrato". Il termine compare nei vangeli di Matteo e Luca.  “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a Mammona”. All’avarizia è stato associato l’organo del cuore e ai suoi tesori, che non possono essere sottoposti alla costante azione dell’erosione. Studiosi fanno derivare questo termine dalla parola fenicia "mommon", con il significato di “beneficiare”. “Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere”. Con molta probabilità il termine Mammona era identificato nella mitologia greca con Ade. Divinità dei morti il cui nome Hàdēs (Άιδης), con il significato di “colui che si nasconde”. Ade, dio degli Inferi, ne esprime l'aspetto tetro, simbolizzato dal serpente e dal cane Kérberos. Nell'antichità anche definito come “vorace guardiano” o "nudo suolo" o "lupo degli dei" poiché ogni cosa seppellita pareva essere divorata in breve tempo.  Nella fiaba di Amore e Psiche l'eroina Psiche è costretta a compiere un viaggio agli inferi e deve affrontare, all'entrata e all'uscita, Cerbero, che viene descritto come enorme, con una triplice, gigantesco e terribile, che con fauci tonanti latra contro i morti, cui peraltro, non può fare alcun male; cercando di terrorizzarli senza motivo, e standosene sempre tra la soglia e le oscure stanze di Proserpina. Il sommo poeta Dante lo descrive come un cane che abbaiando desidera avidamente qualcosa, e si placa solo dopo aver addentato il cibo, poiché è tutto intento nello sforzo di divorarlo. L’avarizia si tramuta con il bramare "urlare e ruggire" desiderare e proteggere ardentemente qualcosa. Sete di acquisire molto di più, abbandonando di meno. In parole semplici, un immenso desiderio di soddisfare qualsiasi desiderio di possesso. La scelta tra gli istinti del profitto e la logica della condivisione. L’avaro è colui che piuttosto che ammettere di aver sbagliato, si scaglia verso il proprio avversario ferendolo a morte. L’avarizia è determinante per condonare i torti subiti. La parola Avarizia deriva dal termine Avarus, composto da Alfa privativa che significa “Senza” e  Varus che indica non uniforme, diverso, screziato. Il termine descrive il non saper accettare il diverso, ma nello specifico il non sapere perdonare e non accettare le altre persone. Non riuscire a porsi in uno stretto legame con gli altri. L’avaro non perdona i torti subiti e trascina con se l’oro (La stima) sotterrandola e mettendo in prigionia il rispetto verso gli altri.

ALCHIMIA: MARTE - FERRO - ROSSO

Belzebù e la Gola

La parola Belzebù significa ‘Padrone o Signore delle mosche’, con Ba’al che significa signore, di derivazione accadica, e zĕbūb o z’bhubh, cioè mosca. Questo termine era usato dagli ebrei per deridere gli adoratori di Ba’Al. Appariva pieno di mosche, con il volto gonfio, corna nere e minacciose, peli e ali da pipistrello. È collegato all’appetito smisurato a livello di mangiare e bere. Appare spesso nel Nuovo Testamento nei vangeli di Matteo e Luca.  Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Lo spirito della Gula  è strettamente collegato alla parola e alle cose che escono dalla bocca. Nulla a che vedere con il mangiare, ma piuttosto da come le parole vengono sapientemente usate  o come immondizia, in senso figurato prodotto di scarsa qualità. Così come il continuo, fastidioso ed incessante ronzio delle mosche, rappresenta un'eco interminabile dell'inesistente sbattere delle ali. Potremmo paragonare lo spirito della Gola al frinire delle cicale, che incessantemente richiamano l’attenzione con il solo scopo di riprodursi. Per gli antichi greci era la rappresentazione del Dio Kronos considerato il figlio più giovane di Urano (il Cielo) e di Gaia (la Terra). Per la mitologia, quindi, Kronos, non solo divenne il simbolo del divoratore di figli ma, proprio come il tempo è divoratore di tutti gli eventi. Lo spirito della gola, istiga a non fermarsi, fino a lasciare sfociare ogni pulsione istintiva, paure, credenze, ideologie divorando perfino figli e amori. Nell’antica grecia la sua figura è sicuramente associata alla divinità Eris dea della discordia. Eris in greco antico: Eρις, «sfida, conflitto, lite, contesa» Rappresenta una sorta di fuoco che divampa sempre più. Si parte con una piccola scintilla fino a raggiungere vampate di fuoco che incendiano pure il cielo. L'episodio più significativo cui la dea è legata è quello della mela della discordia, raccontato nei Canti Ciprii: furiosa per l'esclusione dal banchetto nuziale di Peleo e Teti, Eris giunse perfino a contemplare l'idea di scagliare i Titani contro gli altri Olimpi, che erano stati tutti invitati, e detronizzare Zeus. Poi, però, scelse una via più subdola per compiere la sua vendetta. Giunta sul luogo in cui si teneva il banchetto, fece rotolare una mela d'oro, secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi, dichiarando che era destinata "alla più bella" fra le divine. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione del frutto e del relativo titolo, condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena che originò la guerra di Troia. Inizialmente la scelta spettava a Zeus, ma egli non voleva scegliere, perché avrebbe scatenato le ire delle dee "perdenti" in eterno. Decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride, perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare. Atena gli promise l’imbattibilità, Era la ricchezza, mentre Afrodite la donna più bella, che ai quei tempi era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Paride scelse Afrodite. Omero ne offre un illuminante ritratto, descrivendola come «una piccola cosa, all'inizio» che cresce fino ad «avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli», seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze. Forse per questo il poeta le attribuisce anche l'epiteto di “signora del dolore”. Una simile rappresentazione si ritrova anche in Quinto Smirneo: mentre Eris cresce a dismisura, la terra trema sotto i suoi piedi, la sua lancia ferisce il cielo, dalla sua bocca si sprigionano fiamme spaventose, mentre la sua voce tonante accende gli animi degli uomini. Lo stesso tema viene ripreso in una delle favole di Esopo: Eracle sta attraversando uno stretto passaggio, quando nota una mela che giace sul suolo. La colpisce ripetutamente con la sua clava, ma ad ogni percossa la mela raddoppia le sue dimensioni, fino ad ostruire completamente il cammino dell'eroe. Atena, avvedendosi della cosa, spiega allora a Eracle come quella mela sia in realtà Aporia ed Eris: se lasciata a sé stessa, rimane piccola, ma a combatterla si ottiene solo di ingigantirla. Esiodo rammenta comunque come la dea abbia, oltre a quella violenta, anche un'altra natura, che se compresa può essere d'aiuto ai mortali: quando si presenta nella forma della competizione, Eris è di stimolo agli uomini, spingendoli a superare i propri limiti e permettendo loro di conseguire risultati che la loro innata pigrizia renderebbe altrimenti irraggiungibili. Di natura umana in condivisione con il consorte, è considerata protettrice dell'umanità, infatti permette ad ogni essere una battaglia per salvare se stessi dopo la morte. Adorata e venerata da tutti gli dei, è onorata come protettrice dalla distruzione finale dell'universo. Il termine aporia  dal greco ἀπορία, passaggio impraticabile, strada senza uscita, nella filosofia greca antica indicava l'impossibilità di dare una risposta precisa a un problema, poiché ci si trovava di fronte a due soluzioni che, per quanto opposte, sembravano entrambe valide.

ALCHIMIA: SATURNO - PIOMBO - GRIGIO

Belfagor e Akedia

Belfagor è collegato a una divinità biblica. Si tratta di un dio assiro, Baal-Peor, che i moabiti adoravano sul monte Fagor. Lo chiamavano il Baal del monte Fagor o Signore del monte Peor. A lui è associato l’accidia, termine che deriva dal greco antico akēdía che significa ‘negligenza’, derivato dal verbo kêdos ‘cura’ e alfa privativa con il significato letterale di “Senza Cura”. Lo spirito dell’accidia rappresenta la pigrizia, l'avversione all'operare, mista a noia e indifferenza. L’accidia viene anche descritta come tristezza e malinconia, il male del ricordo.  Malinconia o melancholia, dal greco melankholía, coposto da mélas ‘nero’ e kholḗ ‘bile’ con il significato di “bile nera”. Francesco Petrarca ne parla nella sua opera, Secretum, la descrive come “Una funesta malattia dell'animo”. La malinconia è usata come sinonimo di noia e vita depressa che indica lo scoraggiamento, l'abbattimento e la stanchezza, che rappresenta il senso del disgusto per l’amore e la vita. Belfagor viene rappresentato seduto, sopra una sedia spigolosa e squadrata, con la barba lunga, corna orizzontali e grandi orecchie da Elfo. Con la mano  sinistra tiene la sua coda che nasconde dietro la schiena. Al suo fianco una moneta o una ruota con un foro al centro.  Belfagor è associato all’idea del coniare. Battere monete o medaglie facendovi un’impronta col conio o cuneo. Il cuneo più che un attrezzo è quasi un principio, stando l’idea del cuneo alla base di ogni separare pigiando. Uno spigolo del cuneo, acuto, viene conficcato nel punto dove si desidera creare la fenditura. Cioè uno strumento il cui scopo non è quello di spaccare o dividere ma quello di imprimere un segno. L’accidia ha come riferimento nei testo evangelico di Luca. In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

ALCHIMIA: LUNA - BIANCO - ARGENTO

Amon e l’Ira

Ammon viene descritto come un lupo con la coda di serpente che getta fuoco, un uomo con la testa da corvo e i denti di cane o semplicemente un uomo con la testa di corvo. Nella Bibbia non c’è un’allusione diretta a lui, anche se il suo nome potrebbe essere collegato al dio Egizio Amon o Ben-Ami. Amon, il cui nome significa "il nascosto", "il misterioso", "l'inconoscibile", era un antico dio dell'aria e del vento. Proprio per questo motivo era legato al cielo azzurro, dove il vento e l'aria hanno dimora, ed era "nascosto" e "misterioso" poiché queste due entità sono invisibili. Il suo nome era Amenemhet, nome che significa "Amon è il primo". Collegato all’ira, al sentimento non ordinato né controllato. Viene legato alla negazione della verità, e le sue grandi opere sono la discriminazione. Attraverso testi antichi si narra del rapporto che Ammon ebbe con sua madre. Secondo questa versione il dio Amon, si innamorò di sua madre, e preso le sembianze del padre passò con lei una notte d’amore: “Allora Amon, padrone del trono del duplice paese, si trasformò e assunse le apparenze di sua maestà. Lo sposo della regina. La trovò mentre dormiva nel suo splendido palazzo. L’odore del dio la risvegliò, ed ella sorrise alla sua maestà. Subito le si avvicinò e per lei il suo cuore bruciò d’ardore. Fece in modo che ella potesse vederlo nel suo aspetto divino. Dopo essersi avvicinato strettamente a lei, che si estasiò a contemplarne la virilità, l’amore di Amon penetrò il suo corpo. Il palazzo fu inondato dal profumo del dio”. Il dio Amon, era un dio guerriero e bellicoso, e proprio per questo veniva chiamato “signore della vittoria “ e “signore della forza”. “Le montagne tremano sotto di lui nel momento della sua collera, la terra vacilla quando egli emette un grido”. Ammon viene rappresentato con il pene eretto, come dio della potenza sessuale maschile. Nell'antica grecia era Priamo, che veniva rappresentato come un piccolo uomo barbuto dotato di un fallo enorme. Secondo i Romani era nato dall'amore illegittimo tra Afrodite e Zeus e fu trasformato in un personaggio osceno da Era, moglie gelosa del re dell'Olimpo. Lo spirito dell’ira rappresenta l’amore carnale e il rifiuto inconscio che il bambino sperimenta nei confronti del genitore dello stesso sesso, scaturendo una rabbia incontrollata. L'ira trascina con sé un bagaglio di frustrazioni immagazzinate negli anni,  come un fiume in piena, gli avvenimenti più insignificanti lo fanno straripare. Il corvo è simbolo sacro di Odino, dio dei Vichinghi. Divinità guerriera e potente, Odino ha due corvi, Huginn e Muninn, che libera al sorgere del Sole perché volino per il mondo. Questi tornano alla sera e si appoggiano sulle sue spalle, sussurrando i segreti che hanno rapito. I loro nomi: Huginn  significa “pensiero” e  Muninn che significa “memoria”.

ALCHIMIA: MERCURIO - MARRONE - ARGENTO VIVO

Leviatan e l’Invidia

Il Leviatano לִוְיָתָ‎, Līvəyāṯān,  compare nei testi antichi come senso di "contorto, avvolto" ed è una creatura con la forma di un serpente marino. È citato in diversi libri della Bibbia ebraica, inclusi i Salmi, il Libro di Giobbe, il Libro di Isaia e il Libro di Amos e nel Libro di Enoch. Il Leviatano è un'incarnazione del caos in forma di drago che spesso minaccia di mangiare i dannati. Appare nel libro di Giobbe: “Puoi tu pescare il Leviatan con l’amo e tener ferma la sua lingua con una corda?”. Il Leviatano è collegato ai mostri marini ed è stato creato il quinto giorno della creazione. In letteratura è stato utilizzato come nome per molti mostri, ed è stato assimilato all’invidia. L’etimologia invidia, deriva di invidere, composto da “in” negativo e “videre” guardare,  letteralmente significa “non vedere” o “guardare in modo obliquo”. L’invidia è un sentimento scaturito dall'insoddisfazione verso se stessi e dalla propria vita. Nasce da un’insicurezza, dalla scarsa fiducia in sé che genera  frustrazione e caos. L’idea stessa che l’invidia si auto generi come un avvitamento contorto senza mai riuscire a venirne a capo. Legato all’acqua è una sorta di vortice,  un tumultuoso agitarsi di sentimenti, che afferra e travolge e che costringe a rimanerci intrappolati. Nella mitologia greca questo sentimento era rappresentato dalle tre Gorgoni: Medusa, Steno ed Euriale. Figlie del dio marino Forco e Ceto le Gorgoni, erano tre mostruose sorelle, con ali d’oro, zanne di cinghiale, lingua biforcuta, ed al posto dei capelli serpenti in grado di pietrificare chiunque le avesse guardate.

ALCHIMIA: GIOVE - STAGNO - ARANCIO

Lucifero e la Superbia

Lucifero è sicuramente il più noto di tutti i demoni. La tradizione lo descrive come un angelo molto amato da Dio. Ma per un eccesso di superbia si è ribellato contro il volere Divino odiando per questo gli esseri umani ritenendoli indegni dell’amore di Dio. Per questo il suo nome appare in molte occasioni nella Bibbia. “Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo”. La parola Lucifero deriva dal latino lucĭfer composto da “lux” ‘luce’ e ferre ‘portare, che letteralmente significa  ‘portatore di luce’.  Ezechiele “Tu eri un modello di perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d’ogni pietra preziosa”. Il termine Superbia deriva dal greco superbus, composto da “super” che significa sopra e bus, tutto o tutti, letteralmente “Sopra tutti”. Personalità che mostra enorme stima di sé, altero, sprezzante; magnifico, bellissimo, eccellente. Nei versi biblici si racconta dello scontro tra l’arcangelo Michele e Lucifero. Michele deriva dal nome ebraico מִיכָאֵל Mikha'el ed è composto dai termini mi ("chi"), kha ("come") ed El "Dio", che formano la frase "Chi è come Dio?”. Lucifero e Michele rappresentano i due spiriti gemelli. Da una parte il Giusto, colui che segue le regole e dall’altra parte il Ribelle, l’insofferente di ogni autorità, rivoltoso, rivoluzionario, sovversivo. Lo spirito della Superbia quindi rappresenta una continua lotta interiore, una scissione. Lucifero è mosso dall’intuito. Michele invece rappresenta l'equilibrio del consiglio, che è frutto di una consapevolezza ed esperienza delle cose del mondo. Non può esistere l’uno senza l’altro. Michele rappresenta la luce del giorno, Lucifero il portatore della luce nella notte.  Il santo e il demone, il bene e il male, la luce e tenebre che procedono entrambi nella conoscenza dello spirito. La separazione tra un essere caduto, confinato nella gelida terra ed un essere spirituale. Il sommo poeta Dante descrive Lucifero come un'enorme e orrida creatura, dotata di tre facce su una sola testa e tre paia d'ali di pipistrello. Lucifero è confitto dalla cintola in giù nel ghiaccio di Cocito, quindi emerge solo il lato superiore. Le tre teste sono di diverso colore: quella al centro è rossa, quella a destra è tra bianca e gialla, quella a sinistra è nera.  Il mostro sbatte le ali, producendo un vento freddo che fa ghiacciare le acque del lago di Cocito, dove sono conflitti i traditori. La stessa immagine che ritroviamo all’inizio stesso del viaggio che Dante  compie, e che lo vede dover affrontare le tre fiere, la lonza, la lupa e il leone che ostacolano il suo viaggio nella conoscenza. Lucifero quindi rappresenta l’insita paura di ogni essere a muovere i primi passi verso la conoscenza della propria ferita. Lucifero è colui che accende la miccia, ma poi si ferma e non prosegue oltre. E' il prometeo, che ruba il fuoco per darlo agli uomini, ma il fuoco appartiene a Vulcano. Prometeo non conosce le proprietà del fuoco, ne ruba solo una scintilla.  Un fuoco senza il legno non è nulla. 

ALCHIMIA - SOLE - ORO - GIALLO

ADE

Nella lingua e nella cultura greca l’inferno prende il nome di Ade, come la divinità che lo amministra; Ade in greco e Plutone in latino. Il termine “Ade” deriva dal greco antico “α-ιδης” (“a-ides”), dove “α” ha valore privativo e dove “ιδης” significa immagine, rappresentazione, visione, disegno. La parola ade suggerisce una mancanza di idee. A sua volta quest’ultimo deriva dalla radice “ιδ-” del verbo greco “oραω”, che significa vedere, osservare. Oltre a questi significati “oρα­ω” può voler dire anche sapere (solo al perfetto indicativo, che corrisponde al nostro passato prossimo). Perciò quando uno dice di sapere qualcosa, significa allora che quella cosa, quel determinato fatto, quell’avvenimento, l’ha vissuto, l’ha visto. Possiamo dunque ricomporre il nostro puzzle: l’Ade rappresenta tutto ciò che non si vede, tutto ciò che non si può toccare, sentire, quindi tutto ciò che non si sa. In latino invece si utilizzano le parole inferno e inferi, entrambe con lo stesso significato. “Inferno” deriva dal latino “inferior” (inferiore, comparativo dell’avverbio “infra” il cui superlativo è “infimus” o “imus” (infimo), inferi deriva dal verbo “infero”, ossia “in-fero”, che significa portare dentro, portare giù, sotto. Dunque, mentre in greco questo concetto prende un valore astratto, legato al sapere e alla conoscenza, alla mancanza di idee,  in latino prende un valore rappresentativo, dove infatti l’inferno viene spesso raffigurato sotto terra, nelle profondità, inferiore rispetto al suolo.

La sposa di Ade era Prosepina o dea greca Persefone o Kore dal greco antico κόρη, fanciulla/o. Il nome potrebbe derivare dalla parola latina proserpere che significa "qualcosa che deve emergere" o "qualcosa che deve crescere" a significare la crescita del grano.

SENZA IDEA

TUTTO CIÒ CHE NON SI VEDE,

TUTTO CIÒ CHE NON SI PUÒ TOCCARE,

TUTTO CIÒ CHE NON SI PUÒ  SENTIRE

TUTTO CIO CHE NON SAI

“Gli uomini potevano chiudere gli occhi davanti alla grandezza,

davanti all’orrore, davanti alla bellezza,

e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti.

Ma non potevano sottrarsi al profumo”

 

Patrick Süskind

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